Lo sviluppo della medicina genetica e dei test genetici hanno aiutato nella diagnosi di alcune patologie rare ed insolite. Di importanza potenzialmente più grande è il campo della farmacogenetica o della farmacogenomica, che rappresentano la forza trainante per la medicina genetica nella medicina primaria.

Nel 1959 è stato coniato il termine di farmacogenetica, ovvero lo studio della variabilità nella risposta ai farmaci su base ereditaria. Recentemente è stato introdotto il termine farmacogenomica che in senso più vasto è lo studio di tutti i geni che possono determinare la risposta alla terapia. La distinzione è molto sottile ed entrambi i termini sono spesso usati scambievolmente.

  • la farmacogenetica, si propone di studiare le variazioni nella sequenza dei geni (“varianti polimorfiche”) responsabili dell’efficacia e della tollerabilità della terapia farmacologica in un determinato individuo. I test del DNA, che identificano queste varianti polimorfiche, sono in grado di predire, almeno in parte, come un paziente risponderà ad un determinato farmaco. I risultati del test genetico saranno utilizzati dal medico per scegliere quale farmaco impiegare per il trattamento del il paziente, per ottimizzare il dosaggio da somministrare e per minimizzare il rischio di effetti collaterali.

L’utilità del test di farmacogenetica consiste nella possibilità di poter valutare la risposta di un paziente ad un certo farmaco sulla base di un test genetico di routine, per arrivare ad una personalizzazione della terapia: “il farmaco giusto al paziente giusto”.

  • La farmacogenomica è una branca della biologia molecolare che si occupa di indagare sugli effetti di un determinato farmaco in base al genotipo dell’individuo. Questo tipo di ricerca però non si basa sullo studio dei singoli geni, bensì sul polimorfismo (cioè una variazione a livello di una sequenza di acidi nucleici) a singolo nucleotide.Sulla base delle osservazioni fatte su vari pazienti, si è notato che ognuno reagisce in modo diverso a un determinato farmaco a seconda dei polimorfismi.

Lo sviluppo effettivo della farmacogenomica ovviamente dipende dalla capacità di identificare le variazioni genetiche in modo rapido e, possibilmente, economico. La Farmacogenomica permette di trovare nuovi bersagli ed il tutto parte dalla identificazione di un gene di suscettibilità per una certa malattia attraverso studi di genomica su tessuti patologici, studi su animali transgenici.

I risultati vengono poi verificati nell’uomo tramite studi genetici o studi di espressione genica differenziale o proteomica, nei quali si paragonano i livelli di RNA o di proteina in un tessuto patologico rispetto ad un tessuto normale. Dal gene di suscettibilità si cerca di risalire alle proteine codificate ed alla loro funzione e ruolo nella patogenesi della malattia studiata.

Si arriva così ad identificare quelle molecole che possono funzionare da bersagli, cioe’ che se colpiti con una adatta molecola sono in grado di fermare o rallentare il processo patogenetico. L’applicazione della farmacogenomica alla ricerca ha finora consentito di aumentare di 5-10 volte il numero di bersagli farmacologici identificati

Il campo è quello della medicina personalizzata, infatti lo scopo della farmacogenomica è quello di consentire al clinico di prescrivere per ogni singolo individuo il farmaco o la posologia più adatta al fine di ottenere la massima efficacia clinica contro la minore tossicità possibile, basandosi su un test genetico.

Tests sul DNA, basati su queste variazioni genetiche, possono predire come un paziente risponderà a quel particolare farmaco. I clinici li useranno per decidere la terapia ottimale e per personalizzare il dosaggio; i benefici consisteranno in una ridotta incidenza di reazioni avverse, in migliori esiti clinici ed in costi ridotti.

I primi test basati sul DNA sono già disponibili e le ditte farmaceutiche stanno mettendo a punto test specifici da utilizzare con i farmaci di nuova introduzione sul mercato.

Questi test rappresentano il primo passo verso terapie paziente-specifiche. Le terapie farmacologiche personalizzate rappresenteranno la realtà degli anni futuri. I medici avranno bisogno di conoscere se un farmaco è soggetto a polimorfismo genetico il quale può influenzare l’espressione degli enzimi che metabolizzano il farmaco o dei recettori per il farmaco. I medici dovranno anche sapere come usare queste informazioni per migliorare le terapie dei propri pazienti.

Le variazioni nella risposta del paziente ai farmaci rappresentano un problema terapeutico significativo. Sebbene sia una generalizzazione, da tempo si sa che almeno un terzo degli individui ottiene il beneficio terapeutico voluto dai farmaci prescritti. Nei rimanenti due terzi il farmaco o non funziona come voluto o non è ben tollerato.

La comparsa di risposte straordinarie è relativamente frequente. Negli Stati Uniti, le reazioni avverse da farmaci nei pazienti ospedalizzati vengono stimate in due milioni per anno, con centomila di esse fatali.

La Farmacogenomica avrà un ruolo di primo piano nella individuazione delle terapie e nella riduzione delle reazioni avverse da farmaci. I benefici a breve termine potrebbero essere sottostimati poiché spesso oscurati da aspettative probabilmente poco realistiche e certamente più remote di una medicina predittiva basata sullo studio dei geni.

La mappatura e sequenziazione completa del genoma umano, condurrà alla scoperta dei markers genetici di suscettibilità alle malattie. Ma la grande aspettativa che il genoma umano possa rivelare le basi genetiche delle più comuni malattie e spostare il concetto di gestione della salute dalla diagnosi e trattamento alla prevenzione e predizione delle malattie rimane una visione futuristica e forse irrealizzabile.

Che la rivoluzione genetica non possa dar origine ad un nuovo paradigma per la prevenzione delle più comuni malattie viene argomentato in maniera molto convincente da Neil Holtzman e Theresa Marteau in un una dissertazione in The New England Journal of Medicine “La genetica rivoluzionerà la medicina?”.

Sebbene la genomica identificherà i geni che causano disordini Mendeliani come la malattia di Huntington, le basi genetiche delle più comuni malattie sono troppo complesse per fornire un’accurata predizione di malattie future basandosi sul genotipo.

Tuttavia, le differenze genetiche influenzano il modo in cui gli individui metabolizzano i farmaci. Sono stati identificati polimorfismi in più di venti enzimi umani farmaco-metabolizzanti che possono determinare se un individuo non risponderà ad un farmaco o manifesterà una risposta clinica esagerata.

La Farmacogenomica sta facendo sensazionali progressi nello sviluppo di test per prevedere quali pazienti potranno trarre beneficio da un farmaco e quali avere effetti tossici.

I test basati sul DNA, studiati per uso clinico, daranno la possibilità ai medici di prevedere la risposta del paziente ad un ampio range di terapie farmacologiche.

Sebbene il genoma degli individui sia identico per il 99,9% dei casi, quella piccola differenza dello 0,1% è in grado di dar luogo a qualcosa come 3 milioni di polimorfismi, il più comune di essi caratterizzato dal polimorfismo di un singolo nucleotide (SNP).

Alcuni polimorfismi nei centomila o più geni del genoma umano non daranno effetti. Molti comunque influenzeranno l’espressione e la funzione delle proteine e risulteranno in fenotipi che influenzeranno le malattie o la risposta farmacologica.

Il meccanismo di azione della maggior parte dei farmaci dipende dall’interazione del farmaco con specifiche proteine bersaglio quali recettori, trasportatori e vie di trasmissione cellulare. Molti di questi bersagli farmacologici presentano polimorfismi che possono influenzare la risposta a specifici farmaci. Inoltre i polimorfismi in vie patologiche note possono predire l’efficacia di uno specifico farmaco.

Esistono numerosi esempi in cui gli studi sul genotipo hanno individuato associazioni clinicamente rilevanti tra polimorfismi genetici nei bersagli farmacologici e le malattie.

Un polimorfismo della proteina che trasferisce l’estere colesterolico (CETP) determina l’efficacia della pravastatina nei pazienti con diagnosi di aterosclerosi coronarica. L’assenza di polimorfismo è associata ad una minore efficacia. Questa scoperta si è basata su uno studio di Kuivenhoven (3), ma non è stata riprodotta.

Recentemente è stato descritto che il polimorfismo dei recettori beta-adrenergici può influenzare la sensibilità degli agonisti beta-adrenergici come l’albuterolo. I pazienti asmatici portatori del polimorfismo Gly 16 (glicina nel codone 16) mostrano un aumentata risposta ai beta-agonisti rispetto ai portatori del polimorfismo Arg 16 (arginina nel codone 16) (4).

I polimorfismi del recettore 5HT2A del neurotrasmettitore serotonina sono associati all’efficacia del farmaco antipsicotico clozapina. I pazienti portatori della conversione timina-citosina in posizione 102 sono particolarmente predisposti a rispondere alla clozapina.

Altre associazioni riportate con bersagli farmacologici presunti includono gli enzimi di conversione dell’angiotensina e la sensibilità agli ACE-inibitori  e l’apolipoproteina E (Apo-E) in risposta alla terapia con tacrina nei pazienti con il morbo di Alzheimer (7).

Attualmente comunque le più grandi opportunità di applicazione clinica vengono dalle variazioni genetiche correlate agli enzimi coinvolti nel metabolismo dei farmaci.

Il polimorfismo negli enzimi farmaco-metabolizzanti


Un numero relativamente piccolo di enzimi farmaco-metabolizzanti (DMEs) è responsabile del metabolismo della maggior parte delle terapie farmacologiche oggi impiegate nell’uso clinico. Esiste un ristretto numero di polimorfismi rilevanti nell’ambito di questi enzimi, e molti di essi danno origine ad un mancato effetto terapeutico o ad una esagerata risposta clinica al farmaco.

Il polimorfismo genetico negli DMEs dà origine alla formazione di tre sottogruppi di individui che hanno diversità apprezzabili nella loro capacità di metabolizzare i farmaci per ciascun metabolita attivo o inattivo. Le persone dotate di un efficiente metabolismo farmacologico vengono dette estesi metabolizzatori (EMs).

Le persone con deficienze nel metabolismo, che necessitano di mutazione o delezione di entrambi gli alleli del gene, vengono detti metabolizzatori poveri (PMs).Viceversa,una aumentata espressione, dovuta ad una amplificazione genetica, dà origine a metabolizzatori ultrarapidi (UMs).

Dosi standard di farmaco con una curva dose-risposta ripida o un range terapeutico ristretto possono produrre reazioni farmacologiche avverse, tossicità, o diminuita efficacia nei PMs. Dosi standard di farmaco, quando assunte da UMs, possono essere incapaci di produrre l’effetto desiderato.

Due esempi di polimorfismo in enzimi farmaco-metabolizzanti, che hanno una considerevole importanza clinica, includono l’importante famiglia del citocromo P450, CYP2D6, e l’enzima tiopurina metiltransferasi (TPMT). Tali variazioni genetiche coinvolgono una significativa percentuale di popolazione e influenzano il risultato terapeutico di farmaci comunemente usati per trattare malattie cardiovascolari, cancro, disordini del sistema nervoso centrale e dolore.

Test farmacogenomici nella terapia del cancro: TPMT e HER2

Il TPMT è responsabile del metabolismo dei farmaci contenenti tiopurina: gli antileucemici 6-mercaptopurina e 6-tioguanina, e l’immunosoppressore azatioprina. L’attività del TPMT è essenziale per il normale metabolismo di questi farmaci e ne determina sia l’efficacia che la tossicità. Pazienti con un deficit congenito di TPMT soffrono di severa e potenzialmente fatale tossicità ematopoietica quando esposti a dosi standard di farmaci contenenti tiopurina.

Un test farmacogenomico, sviluppato al St. Jude Children’s Research Hospital, dà la possibilità ai medici di predeterminare i livelli di attività TPMT dei pazienti basandosi sulla presenza o meno negli stessi di alleli associati con il deficit di TPMT. Il test classifica i pazienti in base al livello di attività normale, intermedio, e deficitario di TPMT. La concordanza fra genotipo e fenotipo si avvicina al 100%.

I pazienti classificati con una normale attività, circa il 90% dei bianchi e neri, sono trattati con dosi convenzionali. Nei pazienti con attività deficitaria e intermedia, che rappresentano circa il 10% di ciascuna di queste popolazioni, vengono scelte dosi più basse per evitare la tossicità.

Approssimativamente 1 su 300 bianchi e neri è deficiente di TPMT. Sebbene questo polimorfismo sia relativamente raro, i pazienti con un deficit di TPMT vanno incontro ad una risposta tossica, esagerata e potenzialmente pericolosa per la vita alla dose normale di azatioprina e dei farmaci contenenti tiopurina (8).

I test genetici del TPMT hanno dimostrato la loro efficacia nel management clinico di pazienti con leucemia linfoblastica acuta (ALL) (9). La riduzione della dose della 6-mercaptopurina di 10-15 volte rispetto a quella convenzionale ha reso la tiopurina tollerabile nei pazienti con deficit di TPMT ed efficace come la dose normale nei pazienti con livelli di attività enzimatica normali.

Nella terapia della ALL, oggi si utilizza estensivamente questo test farmacogenomico. Al St. Jude Children’s Research Hospital, per esempio, i pazienti con ALL vengono testati ciclicamente per l’attività del TPMT al fine di ottimizzare la terapia. Si sta oggi valutando la possibilità di applicare questo test al trattamento con azatioprina della malattia di Crohn, dell’artrite reumatoide e nei trapianti renali.

I test di farmacogenetica sono divenuti parte integrante del trattamento del carcinoma mammario metastatizzato con trastuzumab (Herceptin). In questo caso non esiste una variazione genetica del DME ma una variazione dell’espressione del gene per il recettore HER2, che influenza la risposta del paziente al trastuzumab.

L’HER2, un recettore per gli ormoni che stimola la crescita tumorale, è “sovraespresso” approssimativamente in un quarto delle pazienti con tumore al seno. La superespressione dell’oncogene HER2/neu è correlata ad una prognosi infausta, aumento della formazione del tumore e metastasi, e resistenza agli agenti chemioterapici.

Il trastuzumab ,un anticorpo clonato che blocca il recettore, dà un significativo beneficio quando viene usato come adiuvante alla chemioterapia convenzionale. Il test per l’HER2 individua i pazienti che superesprimono l’HER2 e che rispondono al Trastuzumab.

Test genomici per il 2D6 che interessano specifiche classi di farmaci

Il CYP2D6, o 2D6, è responsabile del metabolismo di circa il 25% di tutti i farmaci. Ci sono più di 20 farmaci conosciuti che sono substrati del 2D6. Essi includono agenti cardiovascolari, antidepressivi, antipsicotici, e derivati morfinosimili. Sono un esempio la amitriptilina, la fluoxetina, la perfenazina, il timololo, il propafenone, la codeina e il destrometorfano. Variazioni genetiche nei livelli di espressione o funzione del 2D6 causano effetti profondi sulla efficacia e sulla tossicità di questi farmaci.

Nel 7-10% dei bianchi e nell’1-2 % degli asiatici sono state riscontrate mutazioni che portano a deficit dell’enzima 2D6. Nel contesto del trattamento, queste variazioni possono influenzare la corretta determinazione della dose iniziale di molti farmaci.

Per i farmaci con un ristretto profilo terapeutico e con curva dose-risposta ripida, questo deficit può dare luogo sia ad una overdose che ad una incapacità di mantenere l’efficacia terapeutica.

Poiché molti farmaci psicotropi hanno un ristretto profilo terapeutico e le reazioni avverse sono comuni, il fatto di poter predeterminare i livelli di attività del 2D6 per i pazienti trattati con i suddetti agenti può avere un beneficio clinico significativo.

Il CYP2D6 può anche influenzare l’efficacia del profarmaco. Ingleman-Sundberg ed i suoi colleghi nella loro analisi sugli effetti nei metabolizzatori ultra-rapidi, fanno presente che alte dosi del profarmaco codeina possono dare origine alla formazione massiva di morfina e scatenare effetti avversi. La mancanza del 2D6 nei metabolizzatori poveri può ridurre l’efficacia dei profarmaci che richiedono l’attivazione del 2D6, come, ad esempio, l’analgesico tramadolo.

Fino a poco tempo fa, i test di farmacogenomica venivano usati principalmente in un limitato numero di centri accademici e ospedali universitari. Gli esempi includono il laboratorio di farmacologia della Georgetown University (Washington,DC), che forniva le analisi per il 2D6.. La famiglia genetica CYP può offrire numerose opportunità per scoprire la validità clinica dei test di genomica. Al primo posto della lista vi sono i polimorfismi del CYP2C19, che influenzano una significativa percentuale della popolazione asiatica e consentono di predire il metabolismo dei farmaci prescritti comunemente.

Mutazioni nel gene per il CYP2C19, che dà origine ad un compromesso metabolismo farmacologico, sono state trovate nel 18-23% degli asiatici e nel 2-5%dei bianchi. Il 75% di tutti i PMs è da imputarsi ad un solo allele. Esiste un unico allele negli asiatici che è responsabile del 25% dei PMs in quella popolazione (14). Esistono correlazioni tra il polimorfismo del CYP2C19 e la farmacocinetica e farmacodinamica di farmaci quali citalopram, clomipramina, diazepam, propranololo, omeprazolo e gli antidepressivi triciclici.

Sta emergendo la terapia paziente-specifica

Un giorno considereremo quella odierna come un’era primitiva per ciò che riguarda la scelta del farmaco e della dose.

Nel futuro, verrà considerato non etico esporre i pazienti al rischio di reazioni avverse senza aver prima effettuato questi rapidi e semplici test del DNA (8). Migliorando i risultati nei pazienti e evitando le reazioni avverse verranno ridotti i costi di ospedalizzazione, il numero di visite in ambulatorio e il grande spreco per terapie inefficaci.

La selezione dei pazienti che rispondono alle terapie rappresenta la soluzione più efficace ed economica al crescente problema che sta portando governi e industrie a negare farmaci efficaci a pochi perché una parte di pazienti non risponde alla cura. La politica dell’efficacia prevedibile, dei limitati effetti indesiderati, della riduzione delle complicanze grazie ad una terapia mirata, nonché un rapporto costo-efficacia favorevole dei farmaci, migliorerà i trattamenti riguardanti la salute e eliminerà il bisogno di contenimento della spesa.”

Qualunque sarà il futuro, i test di farmacogenomica ci sono e ci sono ora. Ed è provato che rappresentano un importante strumento nella evoluzione della terapia farmacologica da un’arte empirica ad una scienza clinica

L’FDA (Federal and Drug Admnistration), l’ente Americano che presiede all’approvazione dei dispositivi medici, nel 2006 ha iniziato ad imporre alle industrie farmaceutiche l’obbligo di accompagnare il dossier di registrazione ai dati di farmacogenomica e di citare questi stessi dati nel foglietto informativo del farmaco.

Di concerto, anche l’EMEA (European Medicine Agency), l’equivalente europeo dell’FDA, ha creato commissioni per la farmacogenetica ed obbliga l’esecuzione preventiva di alcuni test di farmacogenetica, come nel caso della terapia del carcinoma colo rettale metastatico con anticorpi monoclonali.

Da: Associazione Ricerca Terapie Oncologiche Integrate ARTOI